Neonato morto, chiesto risarcimento milionario ad Asl 12, medici e ostetriche

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Risarcimento milionario, oltre mezzo milione di euro, quello chiesto dai genitori del piccolo Christian Bertoni, morto all' Ospedale Unico “Versilia” il 14 ottobre del 2008. La Asl 12, il primario di Ostetricia e Ginecologia Giampaolo Cima, il ginecologo Massimo Ciaponi e le ostetriche Franca Squillace e Cinzia Macchitella sono stati citati in giudizio davanti al giudice civile del tribunale di Viareggio Enrico Francesco Fontanini, e la prima udienza è stata fissata per il 17 maggio prossimo.

Tina Lauritzen e il marito Francesco Bertoni, genitori del bambino deceduto alla nascita nell'ottobre nero del “Versilia, quando in due settimane morirono tre neonati, si erano rivolti qualche mese fa allo studio legale dell'avvocato Fabrizio Miracolo rimettendo il mandato al legale che li aveva seguiti fin dall'inizio della tragica vicenda, conclusasi penalmente con l'archiviazione. Unica via, a questo punto, per avere giustizia quella di una causa civile, anche sulla base di una perizia che gli avvocati Fabrizio Miracolo e Antonietta Montano, hanno fatto eseguire dal professore Gianpaolo Palla, primario del reperto di Ginecologia e Ostetricia dell'Ospedale di Viterbo. La madre del neonato morto era affetta da una forma di diabete e rientrava nella categoria ad alto rischio tale, si legge nell'atto di citazione, da necessitare di un'assistenza effettuata da personale sanitario adeguato.

E, aver assistito la donna in un punto nascita accreditato dalla Regione Toscana al II livello assistenziale anziché in un punto nascita di III livello - “unico livello assistenziale accreditato per l'assistenza alla gravidanza ed al neonato ad alto rischio” -, è secondo i due legali “una colpa per imprudenza”. “I genitori non sono stati informati dell'inadeguatezza della struttura , il “Versilia”, dove la nostra assistita è stata ricoverata – hanno affermati gli avvocati Miracolo e Montano -, e si può sostenere senza ombra di dubbio che il dottor Cima ha contravvenuto al suo dovere di garanzia nei confronti della paziente”. La partoriente, in pieno travaglio, era stata sottoposta a taglio cesareo d'urgenza solo dopo che a un successivo monitoraggio erano state rilevate anomalie al battito cardiaco.

“Ma ormai era troppo tardi, il battito del neonato era assente e dopo 10 minuti di tentativi di rianimazione le pratiche furono sospese – precisa Miracolo -, e dimostreremo in aula che non sono stati soddisfatti i parametri richiesti sia dalla letteratura medica che dalle Linee Guida dell'Agenzia dei Servizi Sanitari Regionali”. “L'induzione al travaglio è perlomeno discutibile – spiega l'avvocato -, la gravidanza ad alto rischio per diabete di tipo 1, in una donna come la mia cliente primipara, presenta l'indicazione di procedere al taglio cesareo elettivo, senza contare che la paziente non è stata nemmeno sottoposta al monitoraggio cardiotocografico continuo, che è invece obbligatorio”.

La richiesta di condanna in solido al risarcimento danni di 550,500 euro per Asl 12, il primario Giampaolo Cima, il collega Massimo Ciaponi e le due ostetriche Franca Squillace e Cinzia Macchitella va di pari passo con la richiesta di accertamento e dichiarazione della responsabilità contrattauale, ed extracontrattuale, del personale medico e paramedico che ha assistito la partoriente durante il travaglio e il parto, “per tutte le omissioni che hanno causato la morte” del neonato.

L.T.


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