Moggi moralizzatore show alla Versiliana tra applausi e fischi.

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Il Suo tour attraversa l'Italia. ma ???

L´estate che butta gossip di quarta lega e scarse emozioni può diventare a questo punto anche l´estate di Luciano Moggi in tour.

Gira l´Italia, assume la parte di vittima sacrificale di profonde ingiustizie e indossa i panni del vendicatore, moralizzatore, raddrizzatore di torti: a testa bassa sfruttando il periodo difficile del presidente del Coni Petrucci («Le ultime vicende dimostrano dov´era il potere nel calcio: ora voglio vedere se Petrucci avrà il coraggio di dare le dimissioni come ho fatto io»). Il clou ieri, al rinomato Caffè della Versiliana, in alta Toscana. Arrivano in tremila, c´è chi lo contesta ma la maggioranza è con lui. Gli rivolgono domande così: «Come pensa che si possa riportare la pulizia nel calcio?». Lui esordisce: «Eccomi, sono il mostro», tira in ballo Fassino e D´Alema come compagni di sventura d´intercettazioni. E dà il via a un copione che appare scritto, pensato, provato e riprovato.

Siamo a un passo da quel Forte - dei Marmi - buen ritiro di Moratti e, ultimamente, anche di Galliani. E non troppo distante dai territori di uno come Paolo Bergamo, ex designatore d´arbitri e co-tenutario di tessere telefoniche che - sorpresa - si presenta all´ingresso in discreta forma estiva («Sono un libero cittadino, no? Sì, è la prima volta che lo vedo da allora. Imbarazzo? E perché, ci conosciamo da trent´anni. Sostegno? Luciano sa benissimo difendersi da solo. Ci telefoniamo? No»). Sfidano in tremila la minaccia di pioggia. Foto via-telefonino insieme a Lucianone, bambini innalzati sul mucchio per strappare l´autografo. Ma ci sono anche i contestatori e più volte si finisce a saloon: c´è uno che grida "vergogna!" e non la smette finché non lo convincono ad allontanarsi, quando Moggi le spara più grosse partono lazzi e frizzi - in fondo è la Toscana, dove è stato partorito quello striscione rimasto insuperato, l´anno scorso a Firenze ("Moggi, da te ‘un me l´aspettavo"). Ma la maggioranza è venuto a omaggiarlo, c´è un tipo più tinto di Little Tony che prende il microfono e annuncia di aver presentato ricorsi alla Corte Europea contro i soprusi subiti, un altro lo segue e declama: «Sono venuto a portarle i sensi della riconoscenza del popolo juventino nei suoi confronti». Moggi reprime il sorriso anche perché ha ormai perfettamente collaudato l´espressione afflitta del volto. Ovviamente si è invaghito del caso-basket che scuote i vertici del Coni. «E la cupola eravamo noi? Ma vi rendete conto - esplode con incerta metafora - io e Giraudo non eravamo nemmeno il batacchio del calcio!» (applausi, urla, contestazioni, grida "buffone!").

Il resto della sloganistica moggiana è anch´esso collaudato. Pillole sparse: «Moratti? E´ come Pasquale Bruno, era un pezzo di pane fuori dal campo poi giocava e lo chiamavano O´ animale». Ribadisce che se Montezemolo avesse difeso la Juve come ha fatto con la Ferrari non sarebbe finita così, ma dice anche: «Mi sono dimesso per lasciare libera la Juve di difendersi, ma se avessi saputo prima come aveva intenzione di farlo, non lo avrei mai fatto». «Parlavo al telefono con Bergamo, sì, e perché (urla) Collina poteva parlare con Meani e io non potevo parlare con Bergamo?». Smentisce la particina nel film di Banfi sul pallone, invoca la «convenzione internazionale dei diritti dell´uomo» (tumulti in platea), tira in ballo Telecom, lo spionaggio industriale, il passaporto di Recoba. Quando lo mettono un po´ alle strette sulle tessere telefoniche allora osa l´inosabile: «E Fassino e D´Alema, allora?»: nel senso, spiega, che conta l´intonazione, come si dicono le cose, quanto si è ironici, etc etc, e che comunque «le intercettazioni sono diventate una questione nazionale solo quando è toccato ai politici». Urla, applausi, buuu, e perfino tuoni dal cielo. Il grande show dell´estate, in mancanza d´altro.

fonte LA REPUBBLICA

Foto : Stefano Morelli

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