Premio Viareggio-Rèpaci 2010: Nicola Lagioia vince per la narrativa, Pierluigi Cappello per la poesia, Michele Emmer per la saggistica e Fernando Bandini vince il Premio del Presidente

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Anche quest’anno la Giuria, per sua iniziativa esclusiva, ha esaminato decine e decine di libri e ha segnalato più di cento opere di Narrativa, Poesia e Saggistica. Con dedizione si è impegnata a soppesare, confrontare e scegliere i libri ritenuti più validi secondo un concetto aperto della letteratura che, su vasta gamma, possa funzionare da invito al piacere di leggere.
Nella sezione della Narrativa la Giuria ha fermato l’attenzione su molte opere di indubitabile rilievo, appartenenti a diversi modi di affrontare il ‘genere’ romanzo, che a volte (e non per demerito) si confonde o si sovrappone ai modi della saggistica, tanto approfondite risultano alcune ricostruzioni di ambienti, di tradizioni, di storie del passato o della contemporaneità. La lunga analisi delle varie tendenze di scrittura è ben rappresentata dalla terna finale, formata da tre libri ‘forti’ molto diversi tra loro.

La Poesia quest’anno si distingue per opere di grande bellezza, che per numero e qualità hanno reso tutt’altro che lievi le scelte scalari e le ultime decisioni della Giuria, che ha apprezzato tanto i giovani talenti quanto gli eredi più sensibili della grande tradizione poetica italiana, spesso plurilingue. La terna dei finalisti è indicativa di per sé delle lunghe e appassionate discussioni che hanno portato alla scelta finale, secondo la tradizione del ‘Viareggio’, che ha sempre avuto un occhio di riguardo per l’arte di Orfeo.

Nella Saggistica sono state esaminate un’infinità di opere affascinanti appartenenti ai più svariati generi della ricerca, libri di storia politica e civile, di papi e di santi, di critica d’arte, di filosofia anche sotto la forma del roman philosophique che dimostra la transitività dei ‘generi’ letterari, di sport, di ricostruzione di epoche e di ambienti. Molte di queste opere dicono parole nuove e per gran tempo definitive nel loro campo, per cui la Giuria ha discusso con l’abituale vivacità per arrivare a fissare la terna dei finalisti e per scegliere in fine il libro vincitore.

La Giuria quest’anno ha deciso inoltre di attribuire un Premio del Presidente all’opera complessiva di un autore, con specifico riguardo alla poesia.

Si può concludere brevemente che l’annata è stata feconda e quindi prodiga di attraenti prospettive di lettura.

Si dà lettura delle motivazioni per ciascuna sezione.

PREMIO VIAREGGIO-RÈPACI PER LA NARRATIVA
Nicola La gioia, Riportando tutto a casa, Einaudi
Motivazione di Giorgio Amitrano

La difficoltà di crescere, tema di ogni romanzo di formazione, nel romanzo di Nicola Lagioia è amplificata dalla difficoltà di riconoscersi in un mondo – la Bari degli anni ottanta – dove il gonfiarsi improvviso dell’economia sembra avere lacerato il tessuto connettivo della vita sociale. Il vitalismo di avvocati d’assalto e imprenditori che cavalcano il successo, inebriati dal potere e dalla loro stessa mancanza di scrupoli, produce una generazione di figli insicuri, che brancola nel tentativo di recuperare un’innocenza perduta dall’origine e di trovare un modo accettabile di stare nel mondo. Nicola Lagioia racconta con parole ricche di invenzione questa storia dolorosamente italiana riuscendo a riportare “a casa”, attraverso la scrittura, i frammenti dispersi della giovinezza di molti

PREMIO VIAREGGIO-RÈPACI PER LA POESIA
Pierlugi Cappello, Mandate a dire all’imperatore, Crocetti
Motivazione di Mario Graziano Parri

In una terna di grande spessore, la Giuria ha ritenuto di assegnare il Premio Viareggio-Rèpaci 2010, per la poesia, 81.ma edizione, a Pierlugi Cappello per la raccolta pubblicata da Crocetti editore in Milano dal titolo: Mandate a dire all’imperatore.
Più giovane vocazione poetica ma già con le stimmate della propria genesi dolorosa e necessaria, Pier Luigi Cappello misura, in un doppio registro emotivo-linguistico, italiano e friulano, il suo sentimento del tempo e del recupero memoriale. Un tempo, il suo, frazionato in «minuti raddensati in secoli / nei gesti di uno stare fermi nel mondo». Un ricordare di «chi non ha più niente dietro di sé» o ha «la memoria lunga / di chi ha poco da raccontare», nella coscienza che «il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate / nello scorrere dei volti chiamati». Così dicono i suoi versi, dove tuttavia di prepotenza scatta una forza intima ed estrema, capace, da sparsi e minuti indizi, di ricostruire l’universo e di guardare, di noi, ciò che non resta «dopo che tutto è stato fatto per trattenere la vita». Perché di noi qui si parla, e con noi di un mondo che va comunque cantato, nella sua prepotente e sensitiva natura, nell’eco delle voci e nell’ombra dei volti e nella traversia delle cose che contano, con trasporto amoroso e con tenace patire.

PREMIO VIAREGGIO-RÈPACI PER LA SAGGISTICA
Michele Emmer, Bolle di sapone, Bollati Boringhieri
Motivazione di Sergio Givone

Il libro di Michele Emmer, Bolle di sapone, si apre e si chiude con una citazione di Lord Kelvin: “fate una bolla di sapone e osservatela: potreste passare tutta la vita a studiarla.”. Emmer, che è un insigne matematico, lo prende in parola, ben sapendo che nella frase di Kelvin echeggia una tradizione di pensiero che va da Platone a Plotino, secondo di quali la forma, ogni forma, anche la più effimera e insignificante, contiene tutto un mondo, è “tutta piena di ragioni, tutta piena di logoi”, e indicare queste ragioni è il compito di ogni ricercatore.
Emmer ne ricava un’opera straordinaria, in cui matematica e scienza, rigore analitico e sensibilità artistica si corrispondono perfettamente e producono un incrocio di prospettive in grado di far luce su più d’uno degli infiniti microcosmi in mezzo a cui viviamo. È dai secoli XVII e XVIII (ma ci sono anche testimonianze precedenti) che gli artisti, pittori, poeti, musicisti, vedono nelle bolle di sapone la perfetta metafora della caducità, dell’evanescenza, della mutevolezza della vita. Sono proprio questi tratti, non più intesi come metafore, ma come qualità reali di corpi in movimento nello spazio a suscitare domande cui è possibile rispondere con gli strumento della fisica e della matematica, ma anche a suggerire all’architettura (quest’arte che è una scienza, questa scienza che un’arte) inedite e sorprendenti soluzioni compositive.
Una vera e propria avventura dell’intelligenza, che Emmer ricostruisce in maniera magistrale donandoci un libro non solo curioso, ma raro. Ciò vale specialmente nel nostro Paese, dove è tutt’altro che frequente incontrare lavori che risultino dall’interazione di linguaggi diversi, in particolare quelli dell’arte e della scienza. Premiando questo libro, si è voluto non solo riconoscerne i meriti, ma anche sottolinearne il carattere innovativo. Sì, aveva ragione Mark Twain quando diceva: una bolla di sapone è la cosa più bella, e la più elegante, che ci sia in natura….mi chiedo quanto sarebbe necessario per comprare una bolla di sapone se al mondo ne esistesse soltanto una.

PREMIO INTERNAZIONALE VIAREGGIO VERSILIA
Mario Vargas Llosa
Motivazione di Alberto Melloni

A chi scorra una storia del Perù potrebbe parere che nel 1936 l’unica cosa importante della nazione sia accaduta ad Arequipa, dove il 28 marzo nasceva Mario Vargas Llosa: un intellettuale il cui talento letterario sfida tutti i luoghi comuni da sempre. La sua figura non cresce negletta, ma da subito – con La ciudad y los perros del 1963, Premio de la Critica Española – viene riconosciuto e apprezzato. Lo sfondo umano di tante sue opere, fatto di soldati e delle prostitute che li scortano in una vita povera, nasce da una rimasticatura di una giovanile presenza, dopo le scuole salesiane e lasalliane, nell’accademia militare nella quale tanti commilitoni imparano solo quella cultura golpista che scuote ritmicamente la storia del Perù novecentesco.
E la sua militanza politica, formatasi nei primi lunghi soggiorni come borsista a Madrid e giovane marito a Parigi, non lo inchioda da una parte, ma lo fa girovagare, dalle simpatie castriste alla rottura con il regime cubano dopo l’arresto di Padilla, dal liberismo radicale per il quale si candida alle elezioni presidenziali per cedere alla resistibile ascesa di Alberto Fujimori nel 1990. Critico coraggioso della dittatura di Manuel Odría, subisce un diluvio di critiche quando accetta di far parte della commissione insediata dal presidente Belaúnde per far luce sul massacro di Uchurracay, in un palleggio di responsabilità fra gli spietati guerriglieri di Sendero Luminoso e le formazioni dell’esercito – e diventa così quello che è oggi.
Una voce autorevole, inaspettata, che come autore è passato da generi e forme, non più distanti di quelle solcate dalla sua militanza politica e dalla sua inafferrabile collocazione fisica, divisa fra Londra eletta da vent’anni a dimora, la Spagna di cui è cittadino e accademico, il Perù della sua vita e delle sue famiglie, e le molte sedi che se ne contendono le letture ironiche e cupe, nel suo rimasticare la storia dimenticata facendo delle persone dei personaggi, nella sua prosa di critico letterario, a partire da quella tesi di dottorato del 1971 Garcia Márquez: historia de un deicidio che nonostante una epica scazzottata che ruppe i loro rapporti è stata chiesta come prefazione ad una riedizione celebrativa dei "Cent’anni di solitudine" del Nobel colombiano.
Quello di Vargas Llosa è un mondo fatto di sguardi ("è un paesaggio bello" – dice la Historia de Mayta, 1984 – "a patto di fissare lo sguardo sugli elementi e gli uccelli. Perché quanto ha fatto l'uomo, invece, è brutto"), di equivoci come quelli del Bar Cattedrale, di finzioni come le lettere sul perché della scrittura, alla ricerca di un antidoto contro la ferocia umana. In questo tempo malato dove la quantità di sangue e di morte della corrida scandalizza assai più di quello che non faccia la morte degli uomini, "solitamente senza corna" diceva in un articolo del Corriere pochi mesi fa, Vargas Llosa ripete la sua convinzione: la fragilità della democrazia è un tema martellante della sua fitta attività di pubblicista, e lo sfondo di una fragilità più profonda che egli indaga, ricorrendo ora a Sartre ora al remake di Flaubert: quella che fa della quasi professa Bonifacia, la Selvatica ne La casa verde, il romanzo sul disadorno mondo del bordello che nasconde e in fondo protegge il disadorno desiderio della purezza autentica.
A questo mondo e a chi da quasi mezzo secolo ce lo racconta, si rende omaggio con l’assegnazione del Premio Internazionale Viareggio-Versilia 2010. Signore e signori Mario Vargas Llosa.

Premio Speciale del Presidente
Fernando Bandini, Quattordici poesie, L’Obliquo
Motivazione di Franco Contorbia

L’assegnazione del Premio del Presidente a Quattordici poesie di Fernando Bandini (Brescia, L’Obliquo, 2010) aspira a segnalare, insieme, l’eccellenza di un libro di versi e il significato complessivo di una ‘storia’ poetica più che quarantennale (iniziata nel 1962 con In modo lampante) inscritta con un originale, inconfondibile rilievo nella più generale vicenda della lirica postmontaliana.
Le «quattordici poesie» cui la raccolta di Bandini si intitola (tredici, per l’esattezza, più Omaggio a Rimbaud, una memorabile versione di Le bateau ivre di Rimbaud) testimoniano, dell’autore, l’ininterrotta, strenua fedeltà alle proprie radici culturali e per dir così psicoantropologiche (capitale, nel suo lungo e articolatissimo esercizio inventivo, il conferimento a Vicenza-Aznèvic l’ufficio di autentico baricentro privato e pubblico, personale e civile, come si conviene a una città della vita) e la ‘varietà’ e il rigore di una sperimentazione linguistica (tra italiano, latino e dialetto) del tutto degna del magistrale ‘conoscitore’ della poesia e dei poeti che Bandini è stato ed è: si pensi non soltanto alle investigazioni critiche dedicate a Leopardi e a Zanella, a Rebora e a Zanzotto, ma anche, e più, alla liberissima e talora geniale relazione intrattenuta con i grandi modelli offerti da Pascoli e Montale nell’ampio arco temporale che separa Memoria del futuro (1969) da Dietro i cancelli e altrove (2007).
Oggi, in questa esile e in realtà concentrata, densissima silloge, l’incantevole polifonia che Bandini deduce dalla rimodulazione della lezione di quei due sommi ornitologi sembra alludere, a un tempo, a una continuità e a una discontinuità, confermando da un lato la riconoscibilità e l’altezza della voce poetica di Bandini, esibendo dall’altro i primi indizî tematici e formali di una nuova, imprevedibile stagione


[LE SCHEDE DEGLI AUTORI

NARRATIVA

Nicola Lagioia, Riportando tutto a casa, Einaudi

La città è Bari. Il momento, gli anni Ottanta. Il denaro corre veloce per le vene del Paese. I tre adolescenti che si aggirano per le strade di questo libro hanno in corpo una sana rabbia, avvelenata dal benessere e dalla nuova smania dei padri. Si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa - la musica, le ragazze, le giornate - un contorto esercizio di combattimento. Ma negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent'anni per venirne a capo.

Nicola Lagioia è nato a Bari nel 1973. Ha pubblicato i romanzi Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (minimum fax, 2001), Occidente per principianti (Einaudi, 2004) e Riportando tutto a casa (Einaudi, 2009).

POESIA

Pierluigi Cappello, Mandate a dire all’imperatore, Crocetti

Da: Mandate a dire all’imperatore
Piove 

Piove, e se piovesse per sempre/
sarebbe questa tua carezza lunga/
che si ferma sul petto, le tempie;
/eccoci, luccicante sorella,
/nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata/
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
/uno stare senza dimora/
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita
/da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere
/quando mi dici guardami bene, guarda:/
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.


Pierluigi Cappello (Gemona. 1967) ha compiuto gli studi a Udine e a Trieste. Vive a Tricesimo dove svolge un’intensa attività culturale. Le sue principali raccolte di poesie in italiano e in friulano sono: La misura dell’erba (Editore I.M. Gallino, Milano 1998), Amôrs (Campanotto, Udine 1999. Premio Lanciano - M. Sansone 1999), Dentro Gerico (Circolo Culturale di Meduno, Pordenone. 2002), Dittico (Liboà, Dogliani 2004, Premio Montale 2004). Ha raccolto gran parte dei suoi versi in Assetto di volo (Crocetti 2006, Aryballos 40), vincitore del Premio Montale, del Premio San Pellegrino, del Premio Bagutta Opera Prima 2007e del Premio Lagoverde. lla 2008). Nel maggio 2010 pubblica Mandate a dire all'imperatore (Crocetti, Milano 2010).

Fernando Bandini, Quattordici poesie, L’Obliquo ha vinto il Premio del Presidente

Da: Quattordici poesie
OSCURAMENTO

Buie ore di guerra, vie deserte/
del coprifuoco: chiuse
/le nostre case al mondo, sigillate le imposte.
/Talvolta rochi allarmi
/di sirene annunciavano formazioni di Airfortress
/dirette verso il Nord. Di quelle sere/
della mia infanzia/
io ne ricordo soprattutto una.


Ero già sotto le coperte/
e fissavo il soffitto;/
mia madre in piedi accanto
/al letto recitava: "Ave Maria,/
piena di Grazia, il Signore è teco"/
perché pensassi al cielo prima di addormentarmi./
Fu allora che gridai: «Mamma, lassù c’è un geco/
aggrappato a una trave che ci spia!»./
Di certo ci vedeva come presenze aliene/
in fondo a una laguna.
/

Non lo sguardo di Dio sopra di noi
/ma gli occhietti sporgenti del domestico rettile
/dalle zampine prensili
/che insidiava una mosca nell’alone
/pallido della lampada/
e il rombo lontanante dei B17/
in volo sui paesi illuminati/
soltanto dalla luna.
Fernando Bandini (Vicenza, 1931) è poeta, critico e docente di stilistica e metrica.
Ha pubblicato, in versi, In modo lampante (Neri Pozza, 1962), Memoria del futuro (1969) e La Màntide e la città (1979), per Mondadori.
Nel 1994 Santi di dicembre, nel 1998 Meridiano di Greenwich, nel 2007 Dietro i cancelli e altrove, per Garzanti.

SAGGISTICA

Michele Emmer, Bolle di sapone. Tra arte e matematica, Bollati Boringhieri
Chi non si è divertito durante l'infanzia, e forse non ha mai smesso di divertirsi, nel fare le bolle di sapone? Giocare con le bolle di sapone è uno dei passatempi più diffusi, anche perché è di una estrema semplicità. Che cosa è più inconsistente, più ingannevole di una bolla di sapone? Insomma, vale la pena occuparsi di un argomento destinato, è il caso di dire, a finire in una bolla di sapone? Ma se l'oggetto di cui si parla è per sua natura, almeno apparentemente, molto fragile, non è così per il tema "bolle di sapone" che ha una ampiezza impensabile. Le bolle di sapone hanno una lunga storia nella letteratura, nella scienza, nell'architettura, persino nello spettacolo, soprattutto nell'arte. E nella musica. L'idea del libro è quella di raccontare "visivamente" la storia delle bolle di sapone. Non solo con le immagini dell'arte ma anche con quelle dell'architettura contemporanea, della scienza, della matematica, della natura. E si scoprirà una storia affascinante che parte dal Seicento, attraversa la grande arte dell'Ottocento, si inabissa negli oceani e arriva alla grande architettura contemporanea. Con immagini spettacolari e inattese.

Michele Emmer è professore di matematica all’Università «La Sapienza» di Roma, dove dal 2006 tiene un corso su «Spazio e forma». Ha realizzato 18 film della serie «Arte e matematica», tra cui il film su Escher. Organizza da tredici anni il convegno «Matematica e cultura» a Venezia, è editor delle serie «Mathematics and Culture» (Springer) e «The Visual Mind» (mit Press). Ultimi libri: Mathematics and Culture VI (Springer, Berlin-New York 2008); un capitolo in Venise (Flammarion, Paris 2006), Matematica e cultura 2008 (Springer Italia, Milano 2008). Con il Centro della grafica di Venezia la fiaba Fiore del vento (2008) e Il mio Harry’s bar (2009). Per Bollati Boringhieri ha pubblicato: Visibili armonie (2006) e, a sua cura, Flatlandia (2008).




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