Invito a Teatro: La memoria sensoriale

Invito a Teatro 2

In fase creativa, l'Attore si avvale di diverse “scintille” atte a far partire il motore che fa muovere l'Arte.
Abbiamo visto come la memoria emotiva sia quella parte del nostro cervello che richiama perfettamente l'emozione di una determinata circostanza o l'emozione che una ben precisa “sensazione” sviluppa nel nostro sentire.

Sono processi fondamentali, la cui efficacia è attribuibile soltanto alla verità con cui si riproducono sul palco, al momento giusto.
La memoria sensoriale è uno scrigno che racchiude le sensazioni dell'Attore, il senso del freddo, per esempio, della stanchezza, del mal di testa. È un vero e proprio “sentire” che attua, di conseguenza, la memoria emotiva.

Ci sono esercizi ben mirati per allenare il richiamo perfetto di una sensazione dallo scrigno della memoria sensoriale, ma la regola numero uno per non cadere in didascaliche e false drammatizzazioni è una: non è responsabilità dell'Attore mostrare la sensazione, bensì averla. La sceneggiatura aiuterà la creazione, non sarà difficile sentire una nausea, dove nel testo è previsto che il personaggio abbia dei riferimenti ben precisi, dove magari sarà necessaria la visita di un medico.. E questo è solo un esempio.
La difficoltà di questo processo è indubbia, ma è comunque supportata dal fatto che tutto ciò che ha bisogno della memoria sensoriale è una condizione scenica, non una colonna della struttura drammaturgica. È raro che una scena, per non parlare di un intero dramma, si incentri sul freddo o sulla nausea. Non sarà dunque lo scopo principale dell'Attore, ma sarà un trampolino per raggiungere la memoria emotiva, che farà da vero e proprio organo creatore di un personaggiopersona.
Ma cosa accade se ci viene chiesto di riprodurre una sensazione che non abbiamo mai provato?
Come per la memoria emotiva, anche in questo caso entra in gioco il “mestiere” ovvero la sostituzione.
Dunque si userà quello che abbiamo a disposizione, magari con l'aggiunta di qualche nozione clinica per creare un raffreddore che potrà trasformarsi in tisi. L'importante è, come sempre, evitare una recitazione formalizzata e solo rappresentativa, che escluda a priori l'essere umano che si trova nell'Attore.


Rebecca Palagi 2013 © tutti i diritti riservati

2 commenti

  1. Ormeggiato mercoledì 13 febbraio 2013 alle 14:50:23

    L'ultima parte dell'ultima frase riassume tutto, ed è quasi Zen --che escluda a priori l'essere umano che si trova nell'Attore -- che in soldoni vuol dire: noi siamo in qualunque cosa facciamo, se la cosa è venuta male è perché noi non eravamo lì dentro.

  2. Andrea mercoledì 13 febbraio 2013 alle 10:12:42

    Lessi un giorno lo stralcio di un’intervista, dove un attore rispose con una frase del tipo: “ho trascorso sei mesi nei panni di Bob, perché quando sul set Bob ha fame o percepisce l’arrivo di un temporale… è lui ad avvertire quel suo essere un sé, non io.“
    Con questo concordo sulla necessità di vivere le esperienze sensoriali. Viverle vuol dire essere presenti a sé stessi costantemente. A tavola, ad esempio, mangiare vivendo gli infiniti attimi che sono “parte” del cibo. Così il passato può essere richiamato al presente aprendo lo scrigno che si chiama memoria sensoriale.

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