Tre anni dopo, una ferita ancora aperta.
Disastro a Viareggio venerdì 29 giugno 2012 0Era solo il fuoco il protagonista principale di quella notte calda che ha sconvolto una città, quello stesso elemento l'aveva già segnata, il secolo scorso, nella sua tradizione, quando presero fuoco gli hangar del Carnevale.
Era dal fuoco che uscivano le lacrime e il dolore, tre anni fa quando noi giornalisti dovevamo raccontare una tragedia più grande di tutti e per tutti.
Per i cittadini, per la polizia, per i vigili urbani, per i vigili del fuoco, i soccorritori e anche per gli amministratori.
Dalla stazione la percezione di quel dramma non era così chiara.
Ma dall'Aurelia si ebbe la percezione invece di quanto stava accadendo.
Le urla e lo sbigottimento.
La mancanza di acqua e noi che ci facevamo portavoce..
e poi le mani che scavavano per salvare un bimbo dalla casa crollata.
I pini in fumo, le macchine annerite, le facce... le facce attonite di chi seduto per strada, in sottoveste o pantaloncini, non riusciva a raccontare.
Le facce stanche, stravolte, annerite, accaldate dei vigili del fuoco, stremati.
Il fumo e le fiamme. E le voci che quasi non riusciviamo più a sentire: "I caschi, dateci i caschi"... erano i concittadini che senza elmetto non si potevano avvicinare per portare via mattone dopo mattone quei muri che celavano morte. O forse vita.
E nelle ore successive, nei giorni successivi, quel quadro di cui eravano ancora soggetti prendeva una forma ancora più cupa.. gli ospedali italiani che raccoglievano le vittime di quel mostruoso incidente, lo stillicidio della morte, giorno per giorno...
I visi dei sopravvissuti, le loro parole.
Gli occhi.
Gli occhi degli anziani che ancora non capivano ma che avevano perso la vicina di casa, l'amico, il conoscente...
E lo sbarramento, la zona rossa, la cisterna che aveva provocato quel disastro, il fumo, i vagoni, i binari... l'impossibilità di tornare là, la vita spezzata e la vita che tornava. La vita...
E noi, ancora testimoni. Coscienti ora, consapevoli che certe domande non volevamo farle, che certi drammi non volevamo raccontare perchè il rispetto e il pudore del dolore e per il dolore venivano prima di tutto...
Quelle domande che i giornalisti di Roma e di Milano facevano perchè tanto LORO sarebbero tornati a casa; quelle domande ci ferivano perchè noi, noi c'eravamo e quel dramma è stato anche il nostro.
E ancor oggi quando passa un treno un brivido e un dolore ci trapassano perchè quella notte, questa notte è dentro di noi, per sempre.
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